In vista delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, c’è un profondo squilibrio tra due realtà. La prima è la enorme gravità dei problemi che la Ue deve affrontare: le guerre ai propri confini, lo sconvolgimento dell’ordine geopolitico mondiale, la crisi climatica, le inarrestabili ondate migratorie, l’invecchiamento della popolazione. Problemi di portata epocale che mettono in evidenza i limiti di una Ue incapace di svolgere un ruolo attivo nella condivisione tra paesi membri e nello scenario mondiale. Ruolo attivo che tutti auspicano, ma che richiederebbe il compimento del processo di integrazione istituzionale, che si è fermato alla sola Unione monetaria, anch’essa incompiuta visto che unisce solo 20 degli attuali 27 paesi membri. La seconda realtà è lo scarso livello di discussione e consapevolezza del dibattito politico italiano sull’importanza di approfittare delle elezioni europee per aprire una nuova epoca di rilancio della Ue come stato federale unitario, in grado di porsi come terza forza stabilizzatrice dell’ordine economico mondiale. La distanza tra queste due realtà danneggia non solo la Ue, ma anche l’Italia e ogni altro paese membro. A fronte di giganti come Usa e Cina, ciascun paese europeo è piccolo e, da solo, è perdente nella competizione geopolitica globale. L’imperdonabile incongruenza è che ne siamo tutti consapevoli, ma non facciamo abbastanza per unire le nostre forze. Ne sono prova l’orientamento dei nostri partiti a strumentalizzare le elezioni europee come verifica dei rapporti di forza interni. Segno di miope provincialismo, che alimenta non solo l’astensionismo dal voto dei cittadini, ma la visione distorta della nostra appartenenza alla Ue. Sono in proposito significativi i dati dell’Eurobarometro 2024. Solo il 43% degli italiani giudica positiva l’appartenenza alla Ue, molto al di sotto della media europea del 63%. Migliora la nostra valutazione dei vantaggi, che sale al 57%, anche se ancora sotto il 72% della media europea. Se ne deduce un atteggiamento opportunistico, visto che apprezziamo più la UE dal lato dei vantaggi, soprattutto come fonte di finanziamenti (vedasi i fondi strutturali e da ultimo il Pnrr). L’altra faccia della medaglia che fa scendere il nostro gradimento sono i vincoli da rispettare per garantire l’ordinata convivenza nella comunità europea (vedasi il patto di stabilità), che ci piacciono meno. Non ci consola constatare che, come ha indicato Mario Draghi, due settimane fa nel suo discorso di presentazione del rapporto sul futuro della Ue, la sua attuale debolezza derivi da un generale scollamento strategico, non solo italiano.
* Professore emerito di Politica Economica dell’Università Politecnica delle Marche