La parola a Ida Simonella: «Ancona si riunisce al porto, ricordate il nostro impegno»

La parola a Ida Simonella: «Ancona si riunisce al porto, ricordate il nostro impegno»
La parola a Ida Simonella: «Ancona si riunisce al porto, ricordate il nostro impegno»
di Maria Cristina Benedetti
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Mercoledì 17 Aprile 2024, 02:25 - Ultimo aggiornamento: 12:56

ANCONA In origine era la suggestione dell’Ancona Medioevale. Poi, fu la costruzione d’un teorema che ancora riempie d’orgoglio Ida Simonella: «Ricongiungere il porto alla città». A un passo dallo svelare quella preziosa cerniera del tempo, l’ex assessore al Bilancio della giunta Mancinelli, già candidata sindaco del centrosinistra con un presente da consulente d’azienda, si fa prendere dalla nostalgia, quel sentimento che anima i cuori di chi rimpiange le atmosfere: «Fu il primo grande progetto per cui abbiamo ottenuto un finanziamento».
 

 
Ripercorra quella strada, di pietre e di memoria.

«Si parte dalla Casa del Capitano, nell’area archeologica che si staglia sulla linea d’orizzonte dell’Adriatico, costruita, nel XIII secolo e sopravvissuta ai bombardamenti del '43, in linea d’aria sotto il Palazzo degli Anziani, accanto al quale comparve il sacello medioevale.

Svelati negli anni Settanta, i resti di quella chiesa bizantina vennero coperti, e lasciati lì. L’idea fu di ricomporre quella mappa della memoria, per legare la Dorica con il suo scalo marittimo».

Senza comprometterne le attività, l’elemento fondante. 
«Esatto. Era il 2015, eravamo ancora inebriati dalla riapertura del porto antico alla popolazione, una volta liberato dalle reti di protezione previste dall’antiterrorismo. Si stava lavorando al Piano Strategico 2025».

Ha collegato i due elementi, e via.
«Abbiamo accolto e interpretato il sentire della cittadinanza: volevano riunirsi al mare, il loro mare. Questo fu lo spunto e lo sprone per partecipare, con il progetto Iti Waterfront 3.0, che coinvolgeva noi, l’Autorità portuale, la Soprintendenza e la Politecnica, ai fondi strutturali della programmazione 2014-2020 destinati alle agende urbane».

Centrò l’obiettivo. 
«Fu una vittoria, arrivammo primi tra cinque città delle Marche. Ottenemmo 5 milioni di euro, non solo per il sacello medievale, ma anche per illuminare il waterfront e acquistare un autobus elettrico. Era un finanziamento dell’Unione europea».

I passaggi successivi? 
«L’ufficialità arrivò nel 2017, ma si partì solo l’anno dopo, per via di un ricorso presentato da Macerata». 

Come si sciolse il nodo? 
«Palazzo Raffaello non escluse nessuno. Così iniziammo a dar forma, e senso, a quella passeggiata nella storia». 

Oggi siamo alle battute finali, ma lei è ormai fuori da Palazzo del Popolo. Amareggiata? 
«Si stanno per chiudere due lotti su tre. Resta da trovare le risorse per il recupero di piazza Dante, il cui progetto era già stato affidato a uno studio prestigioso. È stato un tragitto difficile e affascinante. Ecco, solo per eleganza, vorrei che venisse ricordato tutto l’impegno profuso».

Della serie: comunque vada, sarà un successo? 
«Sì, perché il vero, grande, risultato è che la città si riapproprierà di questo itinerario tra terra&acqua. A guardarmi alle spalle dico che ne è valsa la pena». 

Nonostante l’inevitabile cinismo di bandiera?
«Sempre. Lo stesso cinismo che consente in campagna elettorale di fare grandi proclami che poi si riducono a poco nei fatti. In nessun altro contesto sarebbe accettabile: se ci si propone a un’azienda come esperto di sistemi informatici e si sa usare appena un foglio di Excel, si è fuori. Subito».

Anche sul fronte del Pnrr, le risorse garantite dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, applica lo stesso il principio della nostalgia? Si è sempre vantata di aver lasciato tutti i cassetti in ordine. 
«Lo ribadisco: avevamo persino individuato le ditte a cui affidare la realizzazione delle opere. Lo ammetto: sarà un risultato complicato da portare a casa. Non appartiene a nessuno: non è di destra, né di sinistra. È il futuro della gente, per rendere le città più inclusive, pensiamo agli asili nidi ai quali sono dedicati gran parte di quei fondi; alla rigenerazione, che da noi passa per la valorizzazione del Mercato delle Erbe».

Garbata, non rivendica nulla. 
«Ripeto: non ha partito e mai ce l’avrà. È una grande responsabilità: è difficile trattare con le ditte, complicato non veder sfumare quel tesoretto. Ma è una sfida che è vietato perdere».

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