CHIARAVALLE Padre Matteo ora è dove c’è più luce, lui che amava il calore e il colore dell’Africa e della Costa d’Avorio. Quell’angolo di Africa pieno di povertà e contraddizioni era la sua casa: amava quel popolo, si prendeva cura di tutti, soprattutto delle persone fragili, dei bambini, dei malati. Giovedì, verso le 15, mentre si stava recando a San Pedro, la città dove c’è una sede della delegazione dei Missionari della Consolata, confraternita di cui Padre Matteo Pettinari era attualmente superiore delegato in Costa d’Avorio, lo schianto terrificante tra l’auto che guidava il sacerdote e un autobus, vicino la città di Niakara.
Il vocale
«Mi aveva chiamato alle 14,13 – dice distrutta dal dolore la sorella Francesca, insegnante al liceo classico di Jesi – e io non avevo risposto perché ero impegnata.
La morte del 42enne missionario originario di Chiaravalle e che ha la famiglia al Borghetto di Monte San Vito, ha destato enorme impressione nelle comunità del territorio. Il vescovo di Senigallia, Franco Manenti, non trova né la forza né le parole per commentare quanto accaduto e ricordare il sacerdote della sua diocesi. Monsignor Gerardo Rocconi, vescovo di Jesi, invece, regala pensieri dolci per ricordare Padre Matteo.
«Lo ricordo da bambino, quando ero il parroco di Santa Maria in Castagnola a Chiaravalle – dice il vescovo – poi quando si è trasferito a Monte San Vito e nei tempi in cui iniziava il suo percorso vocazionale. Con il vescovo Orlandon parlavamo spesso di Padre Matteo e lui aveva parole di grande stima e di apprezzamento». Ancora Rocconi: «Se devo descriverlo con due aggettivi dico che era una persona generosa ed entusiasta che si spendeva per gli altri in modo totale e lo faceva con entusiasmo, non certo con sacrificio. Era più del senso del dovere, era la gioia di poter lavorare per il Signore e degli altri. Anche l’ultima volta che l’ho visto, in occasione della morte della mamma Roberta tre anni fa, era quello che avevo lasciato: la Costa d’Avorio non lo aveva cambiato anzi lo aveva arricchito e gli aveva donato ancora più coraggio, più entusiasmo. La missione ce l’aveva nel sangue, per lui quella era la vita vera».