Una campionessa del passato remoto - Althea Gibson, vincitrice di Slam, numero uno del mondo, anche attrice per John Ford, “Soldati a cavallo” - disse: «Il tennis è come gli scacchi. Devi manovrare, conoscere i punti forti e i punti deboli del tuo avversario». È così, basta guardare con occhi attenti una partita per rendersene conto. Magari una partita che veda impegnato Carotino Eccelso (che tutti gli dèi dell'Olimpo uniscano le loro onnipotenze per rimettere in sesto l'anca dolorante). Ogni colpo ha un senso, o dovrebbe averlo. Il punto va costruito. Due mazzate per sbatterti tre metri fuori dal campo, ed ecco la palla corta. Mi fingo mosca caduta nella tua tela di ragno, ma ho un'idea su come ribaltare lo scambio, vediamo se l'hai capita e se ti riesce di disinnescare la trappola. Mando di là una pallaccia senza peso, un invito a venire a rete: ho già il passante il canna. Camila Giorgi è stata il contrario di tutto questo. Macché scacchista con la racchetta. Niente costruzione del punto. Ogni colpo o quasi, un tracciante alla o la va o la spacca. Missili terrificanti, incredibile che quello scricciolo tirasse più forte di quasi tutte le amazzoni al di là della rete. Bordate al di là di ogni logica tattica, nessun margine di sicurezza. (Ho visto giocare allo stesso modo, spesso recuperando partite che apparivano perdute, solo Pete Sampras: ma solo quando era morto di fatica, ormai del tutto impossibilitato a sostenere lo scambio. E comunque Sampras non fa testo: è stato un genio del tennis, nessuno può pensare di imitarlo). Una partita di Camila Giorgi ti faceva riempire un quaderno intero di circoletti rossi (copyright del grande Rino Tommasi) e di circoletti neri (a segnalare gli erroracci terrificanti, quelli che li vedi e non ci credi). Un colpo da togliersi il cappello, e il punto successivo tutti a chiedersi: «Ma che voleva fare? Ma che senso ha? Ma cosa le ha detto il cervello?».
Nessun rapporto tra Camila Giorgi e gli scacchi. Mai, in diciotto anni nel circuito. Piuttosto le sue partite assomigliavano a dei thriller. Di quelli scritti non troppo bene: con quindici, trenta, quaranta colpi di scena disseminati alla rinfusa, invece che con tre o quattro piazzati nei momenti giusti.
*Opinionista e critico cinematografico