Joe Biden ha deciso come rispondere all'attacco contro la base Usa in Giordania che ha causato la morte di tre soldati americani, i primi dall'inizio del conflitto a Gaza, e una quarantina di feriti. «Sì», ha risposto laconicamente ai reporter che lo incalzavano prima che volasse in Florida per raccogliere fondi elettorali nella tana di Donald Trump, mentre l'Iran abbassava i toni e il tandem Russia-Cina invitava alla de-escalation.
L'allarme escalation
Il commander in chief non ha però fornito alcun tipo di dettaglio, limitandosi a ribadire che non vuole un allargamento del conflitto in Medio Oriente e che ritiene Teheran responsabile «nel senso che sta fornendo le armi alle persone che hanno compiuto l'attacco». Come confermerebbe il drone 'made in Iran' usato in Giordania dal gruppo radicale che ha rivendicato il raid, «che porta le impronte digitali di Teheran», secondo il Pentagono.
Le ipotesi per il contrattacco
Qualche indicazione è arrivata dal segretario di Stato Antony Blinken, che sabato tornerà in Israele per la sesta volta dall'inizio della guerra per continuare ad affrontare quella che a suo avviso è «la situazione più pericolosa nella regione almeno dal 1973», ossia dalla guerra del Kippur: «La risposta potrebbe essere a più livelli, arrivare per fasi ed essere sostenuta nel tempo».
Evitare scontro diretto con l'Iran
Opzioni che spaziano in vari campi ma che non dovrebbero includere attacchi diretti su suolo iraniano, una mossa che non ha mai azzardato nessun presidente americano perché rischierebbe di provocare quell'allargamento del conflitto che gli Usa invece vogliono disinnescare, con un accordo per una tregua estesa a Gaza e il rilascio dei prigionieri nelle mani di Hamas. Una risposta alle milizie filo iraniane ritenute responsabili di questo e di altri attacchi sembra comunque inevitabile. C'è poi l'ipotesi di ulteriori sanzioni per aumentare la pressione economica su Teheran, dopo l'allentamento concesso nella vana speranza di rilanciare l'accordo sul nucleare.
La mossa per l'immagine
Ma urge anche un colpo d'immagine, ad esempio colpendo basi di Teheran fuori dal confine o operativi iraniani tipo quelli delle forze al-Quds in Yemen, Iraq, Siria e Libano, come fece Trump con il generale Qasem Soleimani (a Baghdad). Servirebbe a disinnescare la pressione dei repubblicani, e non solo dei falchi, che chiedono un raid in territorio iraniano: «Il mondo intero attende di vedere se il presidente deciderà finalmente di usare la potenza americana per costringere l'Iran a cambiare il suo comportamento», ha dichiarato il leader (moderato) dei senatori Mitch McConnell.
La reazione di Teheran
Di fronte alle minacce di rappresaglia, Teheran ha lasciato la parola alla sua diplomazia, astenendosi da ogni dichiarazione bellicosa: «La Casa Bianca sa che la soluzione per porre fine alla guerra e al genocidio a Gaza, nonché all'attuale crisi nella regione, è politica. La diplomazia è attiva in questo senso», ha smorzato i toni il ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian, assicurando che l'Iran non vuole l'espansione del conflitto in Medio Oriente. Getta acqua sul fuoco anche Mosca: «Il livello di tensione è molto allarmante ed è giunto il momento di adottare misure per allentare la tensione», ha detto il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov. Mentre Pechino ha lanciato un appello alla «calma e moderazione» a «tutte le parti coinvolte». Biden però un qualche segnale forte lo deve dare, anche per non compromettere la sua campagna elettorale, offuscata da altri soldati americani morti dopo il caotico ritiro dall'Afghanistan: le immagini di quando riceverà le bare delle tre vittime non lo aiuteranno certo a risalire nei sondaggi.